Lariano
Ad un certo punto della sua vita, nel 1969, Achille Campanile decise di ritirarsi a vivere in campagna, per appagare anche una sua vecchia
aspirazione e per assecondare i desideri della moglie.
"Prima abitavamo a via del Babuino. Un inferno. Mia moglie, che è bergamasca, sognava gli spazi aperti e l'aria pura delle sue parti.
Gaetano sognava di possedere un cavallo. Io, arrivato alla settantina, sognavo di andare in pensione, di non scrivere
più. Tutti d'accordo di trasformarci in contadini. Avremmo fatto il vino, allevato galline e tacchini, coltivato alberi da frutta".
Soprattutto Pinuccia seguendo una moda abbastanza diffusa, e spesso deludente, coltivava un sogno, quello della pace bucolica, fra gli alberi,
la gente semplice e gentile sempre pronta a darti una mano, tanti animali da allevare con cura, il rito della vendemmia e la preparazione dell'olio per
avere prodotti genuini, magari il pane fatto in casa.
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Il casale
Comperarono così una casa a pochi chilometri da Velletri, in contrada Arcioni. Campanile si raccomandava sempre di precisare, "comune di Lariano",
ed aggiungeva che, come Omero era conteso fra undici
città..., a lui bastava essere conteso da due, appunto Velletri e Lariano.
La strada in contrada Arcioni, non era più forse il luogo di una volta, tranquillo, in aperta campagna, quello che probabilmente avevano desiderato.
Ormai case e ville si succedevano le une di fronte alle altre, si avvertiva da tutte le parti la presenza dei vicini, voci che urlavano nell'inconfondibile e
greve accento romanesco, il rombare delle automobili. Insomma, quasi una eco e la continuazione dei rumori disordinati della
città.
La casa era un casale di contadini rimodernato con semplicità, ampio e comodo, con un viale d'accesso di giovani cipressi. Non una di quelle
ville che pure l'intorno si erano fatte costruire personaggi dello spettacolo, della televisione o della politica.
Ma Achille Campanile ci viveva tranquillo, con la sua straordinaria capacità di isolarsi. Stando immerso nel suo gran barbone, gli occhi miti, seduto in poltrona,
o camminando lento per le grandi stanze, con l'aria di uno che nulla potesse turbare: non così per Pinuccia sempre alle prese con i problemi casalinghi, la famiglia
e con i visitatori che capitavano all'improvviso e venivano regolarmente invitati a colazione o a pranzo.
L'interno altrettanto semplice. Divani comodi e tappeti, quadri alle pareti e libri non sempre ben disposti negli scaffali, pianoforti, tutto un po' casuale,
un tavolo enorme traboccante di carte, e una scaletta interna che alla fine era diventata un po' faticosa per Campanile, che preferiva aggirarsi nelle stanze
del pianterreno.
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La vita agreste
Quando la famiglia Campanile acquistò la casa c'erano già un vigneto e qualche ulivo. Gli alberi da frutto li piantarono, belli grandi
perché, potessero dare i frutti subito, e misero su anche un pollaio, con galli, galline, tacchini, oche. "Fu così che cominciarono i guai" come lo stesso
scrittore ricordava ogni volta che gli si chiedeva come era proseguita l'esperienza "contadina". "La mano d'opera , che non si trovava, oppure veniva nelle
giornate sbagliate magari a spruzzare il verderame quando diluviava, oppure all'improvviso, quando tutto era organizzato, entrava in sciopero, e chi s'è visto
s'è visto".
"Non faccio la vita di Cincinnato" ripeteva spesso Campanile "come avevo sperato trasferendomi in campagna. L'illusione è durata un anno. Lo "sfizio" del vino
prodotto in casa si rivelò subito più costoso di un hobby per miliardari. Feci i conti dopo la prima vendemmia e venne fuori che avrei risparmiato di
più pasteggiando tutti i giorni a champagne. Anche il progetto "pollo ruspante" fallì, questo non per motivi economici ma per superiori ragioni umanitarie.
I nostri polli, infatti, dopo un breve tirocinio da ruspanti nella vigna trovarono più confortevole proseguire la loro carriera in casa trasformandosi lentamente
in quasi parenti".
"Un giorno" racconta lo scrittore "fu portato in tavola uno stupendo tacchino arrosto. I bambini, tutti noi, lo guardammo senza dire una parola,
pallidi. Poi il più piccolo disse un nome, il nome del tacchino, che fino al giorno prima era stato in giro per la casa, venendo a prendere il becchime dalla
sua mano, e scoppiò a piangere. Si misero a piangere tutti. Nessuno volle assaggiarlo. Da quel momento tutti gli animali commestibili furono banditi, e
s'infranse definitivamente il sogno della vita agreste. Per farla breve successe che mangiammo pesce il giorno stabilito per gustare il nostro primo pollo
ruspante. Ci fu un periodo che andammo avanti a pesce. Chi è il cannibale che tira il collo a un parente per poi mangiarselo "alla diavola"?
"Di animali, se permettete, in casa mia il più importante sono io", diceva spesso Campanile. Ma gli altri, quelli veri non erano poi tanto meno
importanti: un tacchino che era solito portare a spasso col guinzaglio era diventato così di casa e importante, quasi un parente che lo aveva chiamato Kikki Campanile.
"Sì, esatto, un parente. Tanto che si chiama Kikki Campanile. E' l'ultimo rimasto di una famiglia di tacchini che decidemmo d'insediare nella vigna quando
arrivammo qui decisi a dedicarci all'agricoltura. Kikki Campanile è l'ultimo superstite, il simbolo spennacchiato delle nostre illusioni campagnole.
" Sì, in campagna è un'altra cosa, ma soltanto per l'aria pura e gli spazi aperti, come sognava Pinuccia. In fondo lei è la sola della famiglia ad aver
realizzato i suoi sogni. Gaetano non ha mai avuto il suo cavallo, ne io sono ancora andato in pensione. Continuo a scrivere come facevo in città,
come ho sempre fatto da cinquant'anni in qua."
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