I primi successi
Dice Gian Maria Dossena:
"...
I suoi surrealismi Achille Campanile se li portava dietro con la più grande naturalezza.
Ci viveva dentro, come in una pelle, da quando era ragazzo,
da quando gli avevano detto che certi suoi componimenti mettevano
tristezza. Allora si era messo a sfornare storielle. Le raccontava ai
colleghi illustri di suo padre giornalista, e se avevano successo, se
facevano ridere, le trascriveva su pezzi di carta, lembi di fogli già
scritti, interni di buste. Così mise assieme alcune centinaia delle sue
famose tragedie in due battute. Tragedie e commedie non ottennero lo
stesso successo a teatro, quando qualcuno si azzardò a rappresentarle.
Erano troppo in anticipo perché il grande pubblico potesse capirle. Di
Campanile non si parlava ancora come di un maestro dell'assurdo
quotidiano, Ionesco doveva ancora nascere, e tutto quel rivoltare la realtà
sconcertava..."
top
| back
La vocazione d'umorista
"Campanile cominciò ad essere conosciuto e a conoscere a sua volta il successo giovanissimo,
con le Tragedie in due battute e con il primo romanzo Ma che
cosa è quest'amore? Ma ancora prima, sin dai tempi della scuola era
venuta fuori la vocazione d'umorista grazie alla quale per oltre
settanta anni, ha scandito le tappe della sua fortuna letteraria.
Ma quando nasceva questa vocazione?
Quando gli si rivolgeva questa domanda Campanile amava ricordare sempre un
episodio. "Io credo sia stata soprattutto una rivincita. Mio padre, che
lavorava nel cinema muto, mi portava spesso con sé; mi faceva conoscere
grossi personaggi: Lucio D'Ambra, Fausto Maria Martini, Pirandello... Io
ero timidissimo, non riuscivo a spiccicare parola; dopo quegli angosciosi
incontri mio padre diceva: " Ma perché fai queste figure da cretino? Dì
almeno una battuta, una frase spiritosa". Io pensavo: me ne vengono in
mente tante, ma non ho il coraggio di dirle... le scriverò; vedrete se
non sarò capace di scriverle. Così sono diventato umorista".
top
| back
"Bevi Rosmunda..."
"Aundici anni il primo "successo" letterario con una parodia della tragedia
Rosmunda
di Sem Benelli. Piacque ai suoi compagni di scuola. Le loro risate mentre si
passavano il quadernetto richiamarono l'attenzione del professore Di
Lauro che
requisì la tragedia e si mise a leggerla. Diceva: "Bevi Rosmunda nel
cranio di tuo padre" "Caro Alboino bere non posso tutto quel
vino dentro quell'osso..." E così via. "Io mi ero alzato
sull'attenti" raccontava lo scrittore, "tutto fiero: finalmente
pensavo avrei avuto un giudizio autorevole". Il professore sembrava
fulminato, ma la parodia non gli piacque e mi rimproverò. "Se vuoi
riuscire nella vita" mi ammonì" "dovrai imparare a scrivere sul
serio".
"Oltre che essere una sciocchezza,
era una cosa blasfema. Prendere in giro Sem Benelli! Quanto alla
sciocchezza forse aveva ragione, ma io, con l'orgoglio dei giovani anni,
la portai a casa per farla leggere a mio padre. Mio padre faceva il
giornalista, era un uomo di gusto. Gli piacque, la fece leggere a Lucio
d'Ambra. Ebbi molti complimenti. Che cosa facevo dunque allora, che ero un
ragazzo, che non abbia poi continuato a fare da grande? Perciò, forse,
non ci sono periodi della vita di Campanile."
top
| back
Al liceo
"Campanile, quindi, incominciò giovanissimo a scrivere. Per lui era un bisogno, una
necessità. "A scuola, al liceo Mamiani di Roma, dove i miei genitori mi
avevano mandato con la speranza che facessi una buona riuscita, ero
bravissimo in italiano, ma i miei componimenti erano tutti improntati alla
massima tristezza. io per natura ero malinconico. Lo sono sempre.
Malinconico e timido".
"Ricordo che in prima liceo il mio professore si rammaricava perchè i miei temi
erano "monocordi", tutti uguali tristi e pedanti... Io leggevo i
duecenteschi, studiavo Dante, e non badavo troppo ai loro giudizi. Però
un giorno ho cominciato a pensare che forse avevano ragione i professori
e, punto sul vivo da queste osservazioni, incominciai a scrivere in modo
diverso, brillante. Erano composizioni "a sorpresa" che ebbero
enorme successo fra i compagni. Prendevo un tema qualsiasi, lo rovesciavo,
e ne tiravo fuori storie assurde. Questo facevo, allora come adesso,
seguendo i miei umori, gli umori di Aristotile... Il successo maggiore
l'ebbi con un tema dedicato al due novembre: ridevano a crepapelle,
tutti. Mai una giornata era stata più allegra di quella. E nessuno mi
disse blasfemo, quasi si sentissero sollevati".
top
| back
Con due battute
"Quando cominciai" diceva lo scrittore "L'umorismo era quello delle cartoline
illustrate che il soldatino in libera uscita mandava alla ragazza. Si
rideva per cose di questo tipo".
Aveva poco più di 19 anni quando
cominciò a scrivere la prima raccolta di
Tragedie in due battute. Eccone alcune scritte intorno al 1920.
Titolo: La stella
nell'imbarazzo. Personaggi: La prima stella - La seconda stella. Prima
stella: "Ma che vorrà da me quell'astronomo? " La seconda stella:
"Perché?". La prima stella: "Mi sta fissando da un'ora col
cannocchiale". Sipario.
Anche Fatalità è più o meno della
stessa epoca. Personaggi: Il microbo - Il padre del microbo. Il microbo:
"Papà, quando sarò grande mi regali un orologio?". Il padre del
microbo: "Sciocchino, tu non sarai mai grande". Sipario.
top
| back
Amici e nemici
"Ai miei nemici"
ricordava Campanile "non andava soprattutto l'entusiasmo dei fanatici,
di quelli che mi sostenevano. Quando davano la mia commedia L'amore fa
fare questo ed altro c'erano ogni sera battaglie. Era la storia di un
ragazzino che non ha voglia di studiare; e allora il padre ha
l'idea di affidarlo ad un professore travestito da ragazzino che, mentre
gioca assieme, gli fa lezione. Figurarsi con la concezione sacra che,
degli studi o della scuola, si aveva allora".
"A gran parte del pubblico" era
solito ricordare lo scrittore "dava sui nervi che alcuni gentili
sprovveduti cominciassero subito ad applaudire facendo "eh..oh.."
Allora gli altri, e mi pare avessero ragione, gridavano a loro volta:
"imbecilli!" "cretini!". Così era un clamore un vociare, gli uni
"bravo! All'Accademia drammatica", gli altri " Al manicomio!"
"Proprio alla sera della prima,
l'impresario del teatro mi pregò di salire sul palcoscenico, di fare
qualcosa per riportare la calma. Mi scongiurò: " Gli parli, tenga una
conferenza". Andai sulla scena, nel frastuono chiesi a gesti la parola,
finalmente si fece silenzio. Allora dissi: "Se state buoni, ve ne
facciamo sentire un altro pezzetto" e feci bissare il finale. Veniva giù
il teatro".
"Altre volte, in provincia,
dovevamo organizzare la fuga, fissando gli orari in modo che appena sceso
il sipario filassimo in stazione e ci fosse un treno in partenza. Di
regola una parte del pubblico si accaniva a sfondare le porte dei
camerini, per linciarci. Ma correvamo lo stesso questo rischio per via
degli incassi, siccome la gente era attirata proprio dal clamore, dalla
certezza che sarebbe finita a botte: la compagnia, che menava
una vita grama, teneva di riserva "L'amore...." e, dopo una
settimana o due con altre commedie, la metteva in cartellone per la sera
della partenza. Poi in treno ci dividevamo il bottino, gli incassi. Una
volta venne persino ad accompagnarmi alla stazione, in divisa, un gruppo
entusiasta di ufficiali della scuola di artiglieria. Gli altri viaggiatori
mi guardavano con rispetto, sentii uno che diceva: "Così giovane; ma
deve essere un generale in borghese".
top
| back
Pellizzari! Chi è costui?
"I miei romanzi come i miei lavori teatrali, ebbero critiche favorevoli e stroncature. Esprimevano
giudizi favorevoli Alfredo Gargiulo, Pietro Pancrazi, Panzini mentre le
stroncature venivano da mezze tacche. Ma che cos'è questo amore? fu
stroncato da un certo Pellizzari, che ne disse peste e corna. Nessuno
sapeva bene allora chi fosse questo Pellizzari. Quando uscì Ma che cosa
è quest'amore, lui ne disse malissimo. Con un astio... Il libro, uscito in
piena estate, quando tutti hanno altro da fare, andava benissimo. Duemila
copie, a quei tempi. Questo Pellizzari... Ma chissà che non avesse
poi ragione lui, e che quelli che ne avevano detto bene, come Pancrazi,
come Palazzeschi, Ojetti, Gargiulo, Frateili, D'Amico, De Pisis non lo
avessero fatto perché, trattandosi di cosa rivoluzionaria, volevano
mostrarsi informati, à la page. Vatti a fidare dei critici."
top
| back