All'inizio
di ogni scritto d'oggi su Achille Campanile è rituale il lamento per le
troppe sue assenze dalle principali storie della letteratura italiana
contemporanea. è un modo sbagliato di cominciare perché tenta di posare
a luogo comune: quello di considerare l'autore di cui ci si occupa
ignorato dagli altri e, improvvisamente, straordinariamente,
miracolosamente addirittura, scoperto da chi scrive. Nulla di più
falso.
Quando
Corbaccio (ora Dall'Oglio) pubblicò il suo primo romanzo Ma che
cosa è quest'amore?, critici di valore e lettori di massa premiarono immediatamente
Campanile con la loro attenzione e il loro acquisto. Le storie della
letteratura italiana fanno sempre storia a sé e, per questo, anche le
principali finiscono per risultare, al massimo, secondarie. Campanile si
presentava come umorista, e l'umorismo è sempre stato un genere sospetto
nelle storie della letteratura italiana e, per la verità, non solo
italiana. Forse perché i compilatori delle storie della letteratura
internazionale, mancando di senso dell'umorismo, non arrivano mai, o
quasi, a valutare quale importanza possa avere in certe epoche l'umorismo
non tanto per la letteratura, quanto per il costume, per la stessa vita
mentale di una nazione.
Sino
a ora, per esempio, non è stata studiata con sufficiente attenzione
l'importanza della diffusione e del successo dell'umorismo durante il
ventennio fascista. Quelli che sono passati attraverso il ventennio
fascista, tranne rare eccezioni, come Federico Fellini,
preferiscono non ricordare che l'umorismo è stato durante il ventennio
cosiddetto nero uno dei pochi movimenti culturali, inconsapevolmente o
consapevolmente, non del tutto arreso alla retorica di regime.