
"
... La sua "geniale idiozia", il suo modo di frequentare l'assurdo,
egli l'aveva inaugurato negli anni Venti. Il suo assurdo, inoltre, era di
natura singolarissima; non era di natura onirica, ossessiva o liberatoria,
come nei surrealisti; né volto al rifiuto della negazione, come quello
Dada; era forgiato sul nonsenso, e quindi fondamentalmente verbale,
semantico. È questo l'aspetto più rilevante della sua modernità, che ha
fatto sì che egli si sia trovato con disinvolto anticipo all'appuntamento
con l'attualità di oggi.
Il
suo umorismo si svolge, come scrisse Montale, nella "vena dell'umore
idiota", "nell'ordine cinematico del grottesco"; non è mai direttamente
polemico con la realtà o la società, non contesta e non pretende di andare
oltre la realtà; è semplicemente "altro".
Il
suo comico non nasce tanto dalla "situazione", quanto nello scaricarsi
fulmineo, imprevedibile, come un cortocircuito, nell'assurdo verbale. Così
intricata, allusiva, formicolante di segni ambigui, di doppi e tripli
sensi, di falsi allarmi, di trabocchetti, labirinti ed equivoci, è la
convenzione linguistica su cui si fonda la convivenza sociale, che il
non-senso è già di per sé un sovrasenso.
Sotto la battuta, pungeva la satira, la critica. Ma era una critica così
radicale che era al tempo stesso bonaria, polivalente, eternamente prét à
porter, onnipresente e inafferrabile. Il tempo della dittatura, in cui
Campanile scriveva, era non dico ignorato, ma spiazzato, confuso con le
comparse su una ribalta sempre più eccitante. "Ogni verità e superflua,
scrisse il Pancrazi: l'umorismo resta solo, è a un tempo soggetto o
oggetto di sé, si nutre di niente, o meglio, come il mitico serpe, si
rivolge su di sé e si distrugge ingoiandosi".