"...Si è tanto parlato di "antiromanzo" negli ultimi anni. È strano che
non sia venuto in mente a nessuno di tirare giù dallo scaffale un libro di
Achille Campanile e di rileggerlo in chiave di quella teoria. Se
Campanile è autore di un teatro dell'assurdo, anche più d'assurdo è
intrisa la sua narrativa. La quale è anche sempre elegante, sempre
silhouettata e acquarellata in puro stile decò. Come non vedere la mano di
un Cocteau in quella pagina di Agosto, moglie mia non ti conosco che
dipinge il mare delle ore meridiane, con i cavalloni che, finalmente soli,
dopo il chiasso mattutino dei bagnanti, come ragazzi avidi di vita
riescono a fare la loro nuotata divertendosi un mondo. O nel finale, in
quel sollevarsi, "calma nell'aria della sera", della voce di un tenorino,
una voce "bianca, cosi bianca e incerta e dolce da far rabbrividire", come
non sentirvi una francese musicalità, sospesa fra Ravel e Honegger?
Ma oltre alla grazia decò, nell'immaginazione di Campanile, vi sono
striature color acido. Quella famiglia di ciechi bellissimi che va sulla
spiaggia con una disinvoltura che dà i brividi; o la viaggiatrice morta di
sincope e rimasta seduta su una panca della stazione di Trastevere, sempre
in Agosto, moglie mia non ti conosco, alludono a impasti culturali ed
espressivi più complessi.
In Campanile c'è l'eco di un futurismo disinnescato da qualsiasi miccia
superoministica. È il futurismo che se la prende con la logica del
linguaggio comune. Diciamo: invece che Marinetti, è presente il
Palazzeschi del Codice di Perelà o lei Lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli
e ghiribizzi".