Gerbi il "Diavolo Rosso", il fedele gregario Battista, il gruppo dei "Sempre in coda" e altre storie di corriere e paracarri raccontate da Achille Campanile e Paolo Conte
Parte
dal Lido Di Venezia il Giro d'Italia del centenario (1909-2009). Un
evento importante, non solo sportivo, sul quale da sempre si sono
riversate le attenzioni degli appassionati delle due ruote. Ad
alimentare quell'aurea di epopea romantica hanno contribuito le imprese
dei grandi campioni, le foto delle strade sterrate, i tifosi abbarbicati
fin sui tornanti più aspri.
L'arte, la letteratura, la musica non potevano ignorare un secolo di
passioni e il Giro è, stato da sempre, si può dire materia letteraria.
Dalla mitica Gazzetta dello Sport che patrocina la corsa "rosa", tutti i
quotidiani e i periodici, più o meno specializzati, hanno inviato
giornalisti e soprattutto scrittori per esaltare, se ancora ve ne fosse
bisogno, uno sport, considerato di povera sofferenza, intatto,
nonostante le incresciose vicende sul doping dell'ultimo decennio.
Artisti e cantanti hanno fissato sul pentagramma le imprese dei grandi
ma anche dei piccoli uomini delle due ruote.
Due grandi tra i tanti artisti, che riscuotono la nostra ammirazione e
che in diverso mondo si sono fatti aedi della corsa ciclistica e dei
suoi protagonisti, come Achille Campanile e Paolo Conte, abbiamo voluto
ricordarli nelle pagine di questo sito.
Campanile inventandosi nel Giro d'Italia del 1932 la figura dell'inviato
speciale al seguito della corsa, dando vita e voce ai "Sempre in Coda".
Erano quelli che arrivavano ultimi, come predestinati. Campanile partì
da un moto di simpatia per questi disgraziati pieni di buona volontà,
fra cui c'erano anche ottimi elementi, e ne fece dei personaggi. Un
altro personaggio era il fedele Battista, il servitore personale che lo
accompagnava. Lui in bicicletta, Campanile in automobile. Il successo
degli articoli apparsi sul quotidiano torinese portò alla pubblicazione
del volume "Battista al Giro d'Italia".
Lo straordinario Paolo Conte, appassionandosi ai campioni come Bartali
ma anche ai gregari che sgobbano e non vincono, come il "Diavolo rosso",
l'astigiano Gerbi.
Per questo motivo, in occasione di questo significativo evento, che vede
il Giro toccare il traguardo dei cento anni, abbiamo voluto, prendendo
in prestito le pagine di Campanile e le parole di Conte, arricchire il
nostro sito.
Tratto dal volume "
Battista al Giro d'Italia" di
Achille
Campanile (1932) la XII tappa - Ritorno in patria del Diavolo Rosso, mentre da
un intervista di Monique Malfatto a
Paolo Conte, dal volume
"Conte" a cura di Enrico De Angelis, Franco Muzzio Editore,
il
racconto del Diavolo Rosso fatto dal cantautore.
RITORNO IN PATRIA DEL
DIAVOLO ROSSO
Da Genova a Torino, 3 giugno
Ore 4- E l'alba e il gallo
ancora non canta.
Ore 5 - Il gallo tace. Maledetta bestia, dorme profondamente!
Ore 5,30- Mi alzo, spalanco le finestre. Il gallo continua a
dormire. Perché si desti mi metto a cantare io.
Ore 5,35-Al mio canto il gallo apre gli occhi e balza dal letto.
Ore 6- Esco pedalando dall'albergo di Genova e mi dirigo a
Cornigliano, dov'è il controllo di partenza. Ho il gallo appollaiato su
una spalla. Esso mi servirà anche per la sveglia di Torino. Speriamo che
non mi faccia il brutto scherzo di stamane. Se lo farà un'altra volta,
l'ho minacciato di regalarlo a Ricco. Cosa che ha gettato quell'animale
da cortile nella più grande angoscia....
VECCHIA BANDIERA!
Ci avviciniamo ad Asti, città natale di Gerbi.
«Alt. Il posto di testa al Diavolo Rosso!» grido.
Ma dov'è, Gerbi? Aspetta, aspetta, non si vede.
«Non è possibile attenderlo» fa qualcuno.
«E perché? E una cosa semplicissima: sospendiamo il Giro d'Italia. Non
arriveremo mai pili a Milano. Ci stabiliamo definitivamente alle porte
di Asti, in attesa del Diavolo Rosso.»
Ma no. Per questa volta, conviene metter da parte la cavalleresca
consuetudine.
Il Diavolo Rosso, che è un poco il papà di tutti questi ragazzi,
rinunzia al posto di testa. Tanto, qui conoscono il suo valore. Passerà
da solo, dopo tutti, e, idealmente, sarà alla testa di tutti.
Ore 14,30 - Asti, ovvero: l'apoteosi di Gerbi. La città è
letteralmente tappezzata di manifesti inneggianti al Diavolo Rosso e al
suo gregario Giuntelli. Tutta la città aspetta Gerbi per acclamarlo: le
strade, la piazza., le finestre, i balconi, i tetti, sono gremiti
di popolo in attesa. Vedette sui comignoli speculano l'orizzonte con
potenti cannocchiali. Dal balcone del principale edifìzio pende una
fotografia quasi di grandezza naturale, in una cornice dorata, di Gerbi
in tenuta da ciclista, con la bicicletta a fianco. Fotografia dei bei
tempi, staccata dalla parete d'un salotto e messa, per oggi, al sole. Il
veterano di oggi è, in essa, un giovinetto. Quel giovinetto che colse
leggendarie vittorie, quando si correva soltanto per una medaglia d'oro.
Lunghe tavole sono apparecchiate e a tutti i corridori, ai
commissari, ai giornalisti, viene offerta, da giovani che indossano la
maglia scarlatta di Gerbi, una coppa di Asti spumante, in onore del
Diavolo Rosso. La cittadinanza mi offre un mazzo di rose e la signora
Gerbi mi viene a stringere la mano.
«Io» mi dice «sono un poco in collera con lei, perché da qualche
tappa, ha escluso Gerbi dalla squadra dei suoi tigrotti.»
La colpa non è mia. E della Giuria, che ha messo Gerbi fuori gara:
atto che a suo tempo bollai con parole roventi. Gerbi - com'egli stesso
mi ha dichiarato - non partecipa al Giro per vincerlo, ma per fare una
dimostrazione di passione e di tenacia. Si ritirano gli assi, ma lui,
vecchia gloriosa bandiera del ciclismo, non si ritira. Anche fuori gara,
verrà fino a Milano.
GERBI è TORNATO CON NOI
Comunque, da questo momento, rimetto Gerbi in gara per conto mio e
gli restituisco il posto d'onore della classifica.
Resto ad aspettarlo.
La carovana è passata, è scomparsa all'orizzonte, ma Asti è sempre
gremita di folla in attesa. Ora che son cessati i rumori delle macchine
e le grida di saluto, si sentirebbe volare una mosca.
La moltitudine trattiene il respiro.
Ed ecco, in fondo alla strada, sotto il solleone, spuntare di lontano un
ciclista, che viene avanti pedalando pedalando pian pianino.
è lui.
E
quello stesso del ritratto di trent'anni fa. Vecchio, ormai; con le
rughe. Ma un gran cuore lo sorregge nell'ultima grande corsa della sua
vita. Un momento di sospensione. Poi un urlo immenso squarcia il
silenzio:
«Viva Gerbi!»
Il Diavolo Rosso non ha fretta. Smonta. Abbracci, baci. Si asciuga il
sudore. Accetta una coppa di spumante.
Benedetto il cielo, è cosi che si fanno le corse.
Ore 16- Inseguo la carovana. La strada è seminata di miei tigrotti.
Il primo che incontro è Vincenzi, il Fenicottero di Ostiglia. Poi trovo
Perna, il Puma di Cercola. Vado avanti e scorgo Improta che pedala
faticosamente.
«Forza, Leopardo!» gli grido.
E lui: «Che Leopardo! Non sono più nemmeno un gatto.»
Ore 20 - Torino. Battista ha compiuto un drammatico inseguimento
del gruppo di coda.
Purtroppo, non è riuscito a raggiungerlo prima del traguardo. Non l'ha
raggiunto nemmeno al traguardo.
Ha proseguito l'inseguimento per le vie della città. E finalmente ha
"ripreso" la carovana.
BATTISTA FRA AMICI DI BARCELLONA
L'ha ripresa in albergo.
Ora telefona al suo giornale l'ordine degli arrivi. Per fare un
servizio diverso da tutti gli altri, ha un'idea geniale. Cambia l'ordine
d'arrivo. 1° Improta; 2° Binda; 3° Guerra; 4° Ricco.
«Quest'ordine d'arrivo» mormora soddisfatto, mettendosi a letto, «non
ce l'ha nessuno.»
Ore 24,30- Il gallo canta. Maledizione! Sono stato frodato dal
venditore di galli. M'ha venduto un gallo che canta soltanto quando è
ora di coricarsi.
Ore 1 - Battista viene fatto alzare dal letto ed in camicia è
portato in trionfo per le vie della città. Al Caffè Barcellona lo
attende la folla con un cartello che reclama la sua partecipazione al
Giro di Francia.
Ore 1,30 - Battista, tra le acclamazioni, è portato a spalla in
albergo. E commosso.
«Grazie, amici!» dice. «Ma, invece che qui, avreste fatto meglio a
portarmi a spalla sulla salita di Cadibona.»
Diavolo Rosso di Paolo Conte
Diavolo Rosso non è una leggenda. Era un corridore ciclista
piemontese, più conosciuto col suo vero nome di Giovanni Gerbi.
Era soprannominato Diavolo Rosso perchè si vestiva tutto di rosso e
rossa era la sua bici. Tutto era rosso in lui... "tranne la catena che
lo diventava in corsa".
Era un figlio di Asti. Lo chiamavano anche Piciotu. Un giorno entrò nel
negozio di mio nonno per comprare un berretto. Mio nonno gli mostrò vari
modelli, ma Gerbi montò su tutte le furie: "Come, non hai riconosciuto
Piciotu?! Il berretto di Piciotu deve avere la visiera!"
Era cafone, rude, come la gente delle mie parti. Un contadino. Si era
nella preistoria del ciclismo e lui, pur di vincere una corsa, se ne
fregava del percorso ufficiale. E neppure esitava di fronte a un invito
a bere, o a mollare uno spintone, o a gettare sulla sua scia una
manciata di chiodi.
Una volta, in piena gara, è caduto. L'han portato all'ospedale e ne è
uscito bendato come una mummia. È risalito sulla bici... e ha finito la
corsa!
Da un concerto del 2005 all'Arena di Verona
Paolo Conte in "Diavolo Rosso"