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L'UMORISTA E L'ATOMICA


Signore e signori!
Attenti!
Ri-poso!

Non avrei mai pensato di poter un giorno nella mia vita far stare non dirò sull'attenti ma almeno attenti , anche dei generali.
Il fatto è che è la prima volta che parlo in un Circolo di Ufficiali e non vi nascondo la mia apprensione.
Anzitutto perché si tratta di un pubblico armato.
In secondo luogo perché ritengo che ad un pubblico di ufficiali sia preciso dovere di qualsiasi oratore parlare di argomenti attinenti alla guerra.
No?
Allora: alla pace.
Nemmeno?
Mi pare che adesso non ci siano altri argomenti di cui parlare: o pace o guerra. Del resto, avete ragione: pace e guerra sono quasi la stessa cosa. Fra esse non c'è che una piccola differenza, come fra l'uomo e la donna. Voi sapete certamente la storia di quel congresso di femministe tenutosi molti anni or sono.
Una delle oratrici ad un certo punto disse: - Perché negarci la parità con gli uomini? In fondo, fra l'uomo e la donna non c'è che una piccola differenza.
Allora tutte le congressiste s'alzarono in piedi gridando:- Per quella piccola differenza, hip, hip, hip, urràh!
Così tra la pace e la guerra, la differenza è minima. Piccola quasi come un uovo. Ma per carità, non diciamo come le femministe del congresso: - Per quella piccola...

La piccola differenza è la bomba atomica.
A parte quella differenza, pace e guerra sono molto simili. Giudicate voi stessi. Da che mondo è mondo perché si fanno le guerre? Per assicurarsi la pace.
È raro che si faccia una guerra per arrivare alla guerra.
Forse l'unico caso del genere che la storia registrerà sarà quello della seconda guerra mondiale in cui pare che tutto sia stato fatto apposta col più lodevole zelo, per arrivare alla terza. Ma speriamo che malgrado gli sforzi generali , per carità non alludo ai generali qui presenti, non ci si arrivi.
Allora, direte, se per assicurarsi la pace occorre fare la guerra, non sarebbe meglio rinunziare alla pace? Almeno non si farebbero le guerre.
No! Perché se non si fanno le guerre che servono per evitare le guerre, vengono le guerre.
Dunque, per evitarle bisogna farle. Se non le fate, vengono. In ogni caso, guerra. Al massimo si può scegliere se convenga di più fare la guerra che si vorrebbe evitare o quello che serve ad evitarla.
La quasi identità tra pace e guerra è tanto vera che, alla vigilia dell'invasione della Corea da parte dei cinesi, il rappresentante di Mao...Mao....Stavo per dire Maramao. Scusate. [...]
Il rappresentante di Mao, arrivando negli Stati Uniti, salutò il popolo americano con le parole: - Vi porto un messaggio di pace -. E l'indomani i cinesi invasero la Corea.
Per l'occasione i giornali hanno ricordato che quasi le stesse parole disse il rappresentante giapponese in America alla vigilia dell'attacco improvviso a Pearl Harbour.
Si potrebbe pensare che ci sia un semplice equivoco linguistico e che in cinese e in giapponese la parola "pace" significhi guerra e viceversa. Che lì dicono: "Dichiariamo la pace". E giù bombe e cannonate.
Invece no. Il fatto è che alla saggezza orientale non è sfuggita la quasi identità fra pace e guerra. Difatti quand'è che viene la pace? Dopo una guerra, ( Non sempre però ).
Comunque non s'è mai vista una pace che venga durante la pace. Al contrario, sono le guerre che vengono durante la pace.
La pace è come la salute: uno stato di cose che non fa presagire niente di buono. Finché s'è in guerra quel che può capitare di novità è la pace. Mentre non si sa quello che può capitare quando s'è in pace.

Altra caratteristica della guerra è che nessuno la vuole. Guardate i giornali: "Wu (elenco telefonico) ha confermato a Ran che neppure Pechino vuole la guerra".
È vero. Di solito si vogliono altre cose: territori, o sbocchi al mare, o dominio dei mercati mondiali, o si vuole comprare un regime, o si desidera un po' di petrolio per usi domestici.
Per un bacino di carenaggio (Mi dai un bacino).
Bisognerebbe essere matti per volere la guerra. Anzi questa è considerata da tutti la peggiore calamità. Specie dai malintenzionati.
Sarebbe come dire: "Il tale fuorilegge, o il tale prepotente, conferma che non vuole beghe con la polizia o coi passanti, o coi vicini di casa" Naturalmente. Perché lo si lasci fare, non domanda di meglio.
Signori miei, la guerra è dunque considerata in Estremo Oriente un messaggio di pace.

Molti sono stati attraverso i tempi i mezzi con cui si è portato questo messaggio di pace.
Una volta, precorrendo la posta pneumatica, il mittente lo spediva al destinatario soffiando in un tubo detto cerbottana.
Poi il messaggio venne lanciato per mezzo di archi sottoforma di frecce e arrivava al cuore.
Successivamente s'usò dargli forma sferica e affidarne il recapito ai cannoni, che lo portavano rapidamente a destinazione. Adesso, posta aerea. Pare che il mezzo migliore per portare il messaggio di pace sia la bomba atomica.
A proposito della quale abbiamo letto alcune piccanti indiscrezioni.
È dunque assodato che per eludere lo spionaggio ed evitare qualsiasi pur minimo riferimento geografico che possa dare indizi al nemico. Gli scienziati atomici usano un linguaggio convenzionale. Hanno dato alle fabbriche e agli accessori della modernissima arma dei nomi quanto strani, nomi poetici e gentili, assolutamente in contrasto con gli oggetti a cui si riferiscono; e ciò appunto per allontanare ogni sospetto.

Chiamano nientemeno Sleep, Zeep e Bepo le tre grandi centrali atomiche dove nel più assoluto segreto attendono agli studi ed alla fabbricazione della temibile bomba.
E chiamarono Gilda la bomba stessa. È chiaro che sentendo parlare di Gilda a nessuno verrà in mente che si alluda ad un aggeggio di quella fatta: "Dov'è Gilda? Dove passerà l'estate? La vedremo quest'inverno o farà una crociera in Estremo Oriente?".
Chi può pensare che sotto queste frasi d'aspetto innocentissimo, anzi addirittura futile, mondano, si nascondono i destini del mondo? Ma adesso che l'abbiamo saputo possiamo ricostruire con un po' di fantasia i discorsi frivoli che si svolgono fra quegli austeri uomini di studio che hanno consacrato la vita alla fabbricazione del prezioso oggetto.
Due scienziati atomici s'incontrano e s'abbordano festosi:
- Ciao, carissimo, che fai di bello? Dove corri?.
- Lasciami, vado da Bepo a trovare Gilda.
- Ci sarà anche Bepo?Conferenza tenuta da Achille Campanile al



Circolo Ufficiali il 16/12/1950