Tra le varie collaborazioni di Campanile c’è quella al Giornale di Roma, diretto da Tommaso Monicelli. Lo "scoop" di Campanile è l’intervista a Vittorio Emanuele Orlando, già presidente del Consiglio, per la quale lo scrittore si aspettava ben altro risalto.
Dal diario dell' anno 1922
Agosto
Monicelli mi assume al "Giornale di Roma" dove sono Tieri, Galassi,
Giulio Benedetti, Mattei, Rava; (poi Bottai
A Firenze (cenette) e a Vallombrosa (Saltino) per intervista
Orlando. Rivedo Gaetano Molossi direttore Gazzetta Parma, zoppo,
con bella amica, mantenuta, che fanno passeggiate in carrozza a
Saltino. Orlando mi dà l’intervista. Successo insperato.
Monicelli esulta. Tutti i giornali riproducono intervista (che
era firmata da me) e io indignato perché non fanno il mio nome,
perfino l’Idea Nazionale. Secondo me avrebbero dovuto dire:
".... intervista concessa ad A.C. Orlando ecc. ecc." Mattei un
po’ geloso.
Intanto la collaborazione al Giornale di Roma si fa sempre più intensa,
Campanile collabora insieme a Tieri, Galassi, Giulio Benedetti,
Mattei, Rava e poi Bottai fino alla chiusura del giornale,
avvenuta nell’anno successivo (1923). Inizia la rubrica " La
spada d’Orlando" con testata di Camerini e proprio in quegli
anni comincia a scrivere "Chiarastella", che pubblicherà più
tardi.
Il regime intanto era giunto alla sua definitiva consacrazione.
Dai diari di Campanile una giornata importante che segna un
avvenimento significativo per la storia dell’Italia fascista e
cioè la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, viene trattato non
senza un pizzico d’ironia. Questo pezzo venne poi pubblicato
sul Giornale di Roma.
Dal diario dell'anno 1922
Ottobre
28 Marcia su Roma (v. articolo)
* * *
Questo quadrumvirato che aveva il suo quartier generale a
Perugia, era composto da Balbo, De Bono, De Vecchi, e Michele
Bianchi, segretario generale politico del pardiari_titoloo fascista.
Potrà sembrare strano a qualcuno che di questi quattro uomini,
che dovevano marciare da Perugia su Roma, almeno due e
precisamente Balbo che venne a trovarci nella redazione del
Giornale di Roma e De Vecchi il quale cenò al Fagiano con Grandi
e Benedice,allora sottosegretario alla presidenza del consiglio
dei ministri, nella notte del 28, quando cioè la cosiddetta
marcia doveva essere in atto, fossero a Roma e di qui dovessero
muovere alla volta di Perugia, cioè in senso opposto alla marcia
stessa; vale a dire che partissero da Roma, per fare la marcia
su Roma. Ma è chiaro che finché erano a Roma non potevano
marciare su Roma. Per farlo, dovettero anzitutto allontanarsi da
Roma. Quindi, visto che poi la marcia su Roma in realtà non
avvenne, si può dire che in certo senso essa, almeno per due dei
suoi principali capi, invece che una marcia su Roma fu una
marcia da Roma.
Quanto a De Vecchi, egli, dopo aver cenato al Fagiano, andò a
Perugia ma l’indomani mattina tornò a Roma con l’automobile di
Gallenga Stuart.
Per concludere e precisare alcuni particolari della cosiddetta
marcia con qualche nota di colore e qualche messa a punto
cronologica, bisogna aggiungere:
che durante il consiglio dei ministri - riunito da Facta in
quella notte del 28 nella quale tutti avevano più o meno perduto
la testa, eccetto l’allora sottosegretario alle pensioni di
guerra, Rossini, che s’occupò dei preparativi militari - c’era
in anticamera il capo della polizia Gasbarri che, secondo
attendibili testimonianze, avrebbe russato sonoramente per tutta
la durata delle discussioni;
che il re firmò il decreto di stato d’assedio la mattina del 28,
dicendo a Facta che si rimetteva a lui per l’esecuzione o meno
di esso:
che i cavalli di frisia furono messi non dal governo, ma dal
nazionalista medaglia d’oro Paulucci;
che la mattina del 28 quasi tutti gli uomini politici di pardiari_titoloi
cosdiari_titolouzionali, che si trovavano a Roma, accorsero al Quirinale
per cercare di evitare il conflitto armato;
che Federzoni telefonò a Mussolini, a Milano, alle 8 della
mattina, dicendogli che ormai bisognava aderire al compromesso
proposto del re;
che lo stato d’assedio fu revocato dopo che il re ebbe dato
l’incarico a Salandra;
che successivamente, cioè nel pomeriggio del 28, i fascisti
dissero che non si contentavano più della soluzione Salandra, ma
che volevano tutto;
che in seguito a questo il generale Cittadini(?), aiutante di
campo del re, telegrafò a Mussolini di recarsi a Quirinale e
Mussolini, a scanso d’equivoci, pretese che nel telegramma fosse
aggiunto: "per darle l’incarico di formare il governo".
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