Campanile giornalista alle presa con un’intervista ....
Impossibile, si potrebbe dire. La scrittrice Grazia Deledda,
premio Nobel l’anno prima, viene trattata con non troppi
riguardi, ma sempre con ironia nella pagine del diario da un
Campanile che non sembra particolarmente entusiasta di dover
proporre in un’ intervista . Sembrerebbero appunti, annotazioni
da utilizzare per un articolo che Campanile non chiarisce del
tutto se abbia mai veramente scritto.
Dal diario dell' anno 1927
1927 DELEDDA
... Sua specialità. La salsa prediletta. Come prepara gli spaghetti per tutta la famiglia.
Epilogo. Penso: ora le domando se sa cucinare bene, ma mi trattengo in tempo; dovesse credere che mi voglio far invitare a
pranzo?
Insomma, lei mi parlava e io pensavo all’articolo. Scrivendo penso. " Grazia Deledda, donna di casa.
Sue vedute circa la biancheria. Il rammendo dei pedalini del signor Madesani (suo marito). Come apparecchia la tavola? Modo di festeggiare le ricorrenze famigliari. Allora pensavo. Scriverò: "Grazia Deledda nell’intimità". Per una signora non è gentile.
Io pensavo e Grazia Deledda parlava. Emi parlava attraverso quei grandi occhialoni coi vetri spessi un dito
che, se lei girasse
con una pompa d’automobile al fianco la farebbero rassomigliare a una Fiat 501 verniciata in grigio. Il grigio sono i capelli e una certa aria domestica che le aleggia intorno e che tutto le dà meno che il tipo della scrittrice, cosí come intendono questo tipo le donne che scrivono.
A un certo punto mi venne un’idea. Dietro quegli occhiali, c’erano gli occhi di Grazia Deledda.
Se facessi un articolo sugli occhi di Grazia Deledda, cosí fermi, cosí penetranti, cosí indagatori. Magari nell’articolo avrei potuto dire anche che hanno uno sguardo tenero ma giusto; che so io profondo e buono; stanco. Grazia Deledda, bassetta, tarchiatella, quando c’è guarda a noi alti di statura dal sotto in su, ferma, assente, con le mani intrecciate sullo stomaco, sulla atdiari_titoloudine di riposo che hanno quelli che compiono le fatiche dei campi, ha della tartaruga e con quello sguardo vi sgomenta. Ho detto vi e non ci, perché per me ci vuole altro per sgomentarmi. Ma come si fa a scrivere un articolo sugli occhi? Ci vorrebbero almeno i cento occhi d’Argo per empire una colonnina bassa, qualche volta! Oppure di quegli occhi, oltre lo sguardo fermo, fermo e stanco, bisognerebbe descrivere, per esigenza di spazio, le palpebre, le ciglia, le sopracciglia e via dicendo. Niente, niente; con gli occhi è peggio che andar di notte.
Dico la veritá: a un certo punto mi vidi perduto nella saletta da pranzo mobiliata alla sardegnola
(ma sará stata, poi, mobiliata alla sardegnola? Non ci metterei la mano sul fuoco; anche perché non so come sono le stanze mobiliate alla sardegnola e se lo sapessi non mi ricordo bene com’era mobiliata quella di Grazia Deledda) nella saletta da pranzo, dicevo, mobiliata alla sardegnola, silenziosa, intima, tranquilla, dove s’udiva soltanto il monotono tic-tac della pendola appesa al muro ( ma era poi una pendola appesa la muro? Ora che ci penso, mi pare che non ci fosse; certo avrebbe dovuto esserci; se non c’è voglio sperare che ce la mettano al più presto; nella saletta da pranzo, dicevo, mobiliata alla sardegnola, dove s’udiva soltanto il monotono tic-tac della pendola appesa al muro, nella saletta che circonda la bella casa che pare disabitata, tanto è silenziosa e dove non si immaginano dalla strada che bicchi, fugaci strombettii di lontane automobili, pensando allo scopo della mia visita che era quello di cogliere lo spunto per un articolo sulla scrittrice che...
Accidenti ai periodi lunghi e accidenti a quando mi sono ficcato in questo ginepraio che è l’articolo su Grazia Deledda.
Perciò non voglio scriverlo. No. Non lo scrivo. Non lo scrivo e non lo scrivo.
Caschi il mondo.
Achille Campanile
Campanile collabora
ancora a molti giornali: in particolare al Travaso e alla
Tribuna. Non è improbabile che proprio per uno di questi
giornali si fosse preso l’onere di fare un ritratto della
scrittrice sarda. Ma sono anche gli anni dei primi grandi
successi come scrittore. Nel ’27 esce infatti "Ma che cosa è
quest’amore?" precedentemente pubblicato a puntate su un
giornale romano, il Sereno.
Seguirono, nel giro di pochi
anni, "Se la luna mi porta fortuna", "Giovinotti non
esageriamo", "Agosto, moglie mia non ti conosco", "In campagna è
un'altra cosa (c'è più gusto)" che consolidarono la sua
popolarità di umorista personalissimo.
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