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Agosto, moglie mia non ti conosco

"Figliuolo".
"Papà".
"Questo mi pare proprio l'albergo che fa per noi".
"Te lo stavo per dire".
"Pulito. Elegante. Almeno a giudicare dall'esterno. Ci staremo come papi. E di': sei contento di questo matrimonio?".
"Se sei contento tu, sono contento anch'io".
"Ma sei tu che devi sposare, figlio mio".
"Sono io? Oh, credevo che fossi tu".
"Figlio mio, sono sei mesi che se ne parla, abbiamo combinato tutto per lettera, hai avuto perfino la fotografia della fidanzata, che arriva stasera dall'America, e ancora non hai capito che lo sposo sei tu? Mi fai cadere le braccia".
"Sono io! Che bellezza! Allora fammi vedere meglio la fotografia".
"To', guarda".
"Che bella!".
"Ancora non vi conoscete, ma questo non vuol dire. Avrete anche troppo tempo, per conoscervi. No. Fermo. La fotografia la tengo io, che tu sei capace di perderla. Dove hai messo i fiori?".
"Nella valigia".
"Nella valigia?".
"Avevo paura che si sciupassero".
"Figlio mio, non ti far sentire, quando dici queste cose. Ti ho fatto studiare, ho speso per la tua istruzione migliaia di lire, ed ecco il risultato. Speriamo che la sposa non se ne accorga prima del matrimonio".
"E se se ne accorge dopo?".
"Dopo, troverà che sei l'ideale dei mariti. Ma, prima, ti rifiuterebbe".
"Come mai?".
"Così sono le donne. Prima di sposarlo, vogliono che il marito sia un genio. Quando l'hanno sposato, vogliono che sia un babbeo".





Quando Andrea Malpieri e suo padre Gedeone entrarono nel vestibolo della"Vigile scolta", affollato di villeggianti in attesa dell'ora di cena, un omaccione, che passeggiava davanti alla porta della Direzione seguito da cinque giovinotti, chiamò:
"Arocle!".
Il cameriere, che stava nel corridoio, si fece rosso come un peperone e non si mosse. Egli si vergognava del suo nome. E aveva torto, perché, pur essendo Arocle un nome non troppo comune, non ha nulla di vergognoso. Ma tant'è. Quest'uomo, che sarebbe stato felice di chiamarsi ben altrimenti - era un suo antico sogno - si vergognava come un ladro, quando lo chiamavano a nome in pubblico, e si metteva a guardare il soffitto, per far credere che chiamassero un altro. Inutile precauzione, poiché tutti ormai sapevano che si chiamava Arocle e di Arocli non c'era che lui tra Palermo e Le Havre, da che l'unico altro Arocle - un vecchio irragionevole - era morto di crepacuore, a causa del proprio nome. Anzi, il cameriere della"Vigile scolta"era ormai popolare, in virtú di questo nome. Quando passava per le strade, le persone lo indicavano agli amici, dicendo, con la mano davanti alla bocca:
"Vedi? Quel tale si chiama Arocle".
"Ma va!", esclamavano gli amici.
L'omaccione che passeggiava gridò:
"Animale!".
"Comandi!", fece Arocle, irrompendo nella sala.
Alla vista dei nuovi arrivati, aprì le braccia facendo:
"Oh!".
Tratto in inganno dal largo gesto, Andrea lo abbracciò con trasporto.
"Eh", fece il padre, esterrefatto,"che è tutta questa tenerezza?".
"Ho visto che mi veniva incontro a braccia aperte", spiegò il giovinottone,"e ho creduto che mi volesse abbracciare".
Il padre si mise le mani nei capelli.
"Figlio mio! Figlio mio!", gemé con amarezza."Va ad abbracciare il cameriere!".
"In verità", disse Arocle,"non mi sarei mai permesso di abbracciare il signore. Volevo dire soltanto: «Oh, quanta gente, stasera!»".
"Si può parlare col proprietario?", gli chiese Gedeone.
Arocle parve imbarazzato:
"Il proprietario", balbettò, arrossendo,"non è in casa".
"C'è", gridò l'omaccione, che continuava a passeggiare nervosamente,"c'è, ma si nasconde"



In realtà, il cav. Afragola, proprietario della"Vigile scolta", se ne stava chiuso a chiave nella Direzione, a causa di certe bistecche del giorno prima. Egli non era, da un certo punto di vista, l'ideale dei proprietari di pensione. Di lui si narravano cose spaventose. Un'estate, per esempio, un tale aveva passato quindici giorni alla"Vigile scolta", poi era partito ed era tornato nuovamente l'estate dell'anno successivo. Il cav. Afragola gli mise in conto tutti i mesi dell'inverno, dicendo che, quando era partito, aveva lasciato un colletto nella camera e quindi la Direzione aveva creduto che intendesse conservarla. Aggiungiamo, per coloro ai quali può interessare, che la vittima di questo abile colpo era stato per l'appunto l'omaccione che passeggiava nervosamente.



"Allora", disse Gedeone al cameriere, abbassando la voce,"parlerò con voi".
Lo trasse in disparte:"Avete camere?".
Arocle si guardò intorno, sospettoso. Si", bisbigliò.
"Ne vorrei quattro", aggiunse Gedeone,"al primo piano, in vista del mare".
"Mi dispiace", disse il cameriere,"ma le camere del primo piano sono state affittate a quei signori".
Indicò l'omaccione e i cinque giovinotti che passeggiavano nervosamente. Gedeone s'appresso al gruppo:
"Sono certo che lor signori vorranno cedermi...".
"Che cosa?".
"Le loro camere".
"Nemmeno per sogno", interruppe uno dei giovinotti, squadrandolo.
"Se lei crede di intimidirmi", esclamò Gedeone,"s'inganna".
"E se lei", rimbeccò l'altro,"sapesse chi sono io, non parlerebbe cosi".
"Sentiamo chi è".
"Se vuol saperlo, sono un uomo conosciutissimo. E chi sa quante volte ella ha visto la mia fotografia sui settimanali illustrati".
Gedeone lo fissò.
"Insomma", disse,"si spieghi".
"Io", fece il giovinotto,"poso per il gruppo dell'erculeo granatiere che sorregge sulle braccia un affusto di cannone e cinque compagni in una volta, per uso dei giornali illustrati".
"Accidenti, che forza !", esclamò Andrea, guardando con ammirazione.
"Giornalisti", mormorò Gedeone,"alla larga! Meglio stare in pace coi giornalisti".
S'allontano in fretta.
Gli altri villeggianti si congratularono col giovinotto, che volse in giro un'occhiata soddisfatta e chiese:
"Ho avuto una buona idea a dirgli che poso per il gruppo dell'erculeo granatiere?".
"Perché", disse una signorina, delusa,"non è vero?".
"Verissimo", fece l'altro.
"Eppure", osservò una signora, osservandolo attentamente con l'occhialino,"non si direbbe, a giudicare dalla complessione".
II giovinotto era mingherlino.
"II fatto è", spiegò,"che io non faccio la parte dell'erculeo granatiere. Io sono uno di quelli che, nel gruppo, l'erculeo granatiere tiene sulle braccia, insieme con l'affusto di cannone".
"Ah!", esclamo Gedeone, avvicinandosi di nuovo,"ecco perche la sua fisionomia non m'era del tutto ignota. Ella è quello che sta sull'avambraccio sinistro, se non erro".
"Precisamente".
Gedeone gli strinse la mano.
"Sono lieto di conoscerla", disse;"lo desideravo da molto tempo".
II giovinotto s'inchinò. Poi, indicando l'omaccione che passeggiava, spiegò:
"L'erculeo granatiere è lui. E quei signori", aggiunse, indicando i giovinotti,"sono gli altri componenti del gruppo".
Avvennero scambi di saluti.
"Ci sarebbe un posticino anche per mio figlio?", chiese Gedeone, che per l'appunto cercava di sistemare Andrea.
"Mi spiace", rispose l'erculeo granatiere,"ma siamo al completo. Anzi, le dirò che non posso continuare ancora per molto a mantenere tutta questa gente sulle mie braccia, a sopportare da solo il peso di cinque bocche, piú una da fuoco".
"Io", fece Andrea,"mi contenterei d'un posto modesto, magari a cavallo d'una delle sue cosce, che, a quanto mi rammento, sono ancora disponibili". L'erculeo granatiere fe' un gesto per dire che era inutile pensarci, almeno per ora, e Gedeone ripeté a lui la preghiera relativa alle camere del primo piano.
"Fra poco", spiegò,"arriveranno dall'America, col piroscafo Estella, i coniugi Suares, che vengono per celebrare le nozze della loro Caterina con mio figlio Andrea. Se volesse cedermi...".
"Impossibile", disse l'erculeo granatiere,"noi stessi aspettiamo le nostre mogli, che debbono per l'appunto arrivare tra poco, reduci da un giro trionfale in America. Esse sono andate colà a posare per il gruppo: Le allegre bagnanti della elegante spiaggia di Miami si dirvertono col pallone d'acqua".
"Oh!", esclamo Gedeone,"son desse quelle celebri e vezzose creature?".
"Da molti anni coprono con onore questa importante carica che ha valso a metterle molto in vista", rispose l'erculeo granatiere."E ora, fatta la posa, tornano a casa, anch'esse con l'Estella".
"Questa nave", disse una delle villeggianti, che aspettavano il segnale del pranzo,"è dunque molto attesa, perché con essa deve sbarcare anche Lanzillo".
"Il famoso dongiovanni?", chiese Gedeone, rabbuiandosi.
"In persona!", esclamò, battendo le mani, una signorina coi capelli rossi e il volto coperto di efelidi. Un giovinotto, che sedeva accanto a lei, la fulminò con un'occhiata.
"Se è per questo", disse freddamente,"l'Estella è attesa con ansia anche da tutte le cameriere del luogo, perché sbarcherà un forte nerbo di marinai, facenti parte dell'equipaggio".
"Oh, giusto", disse l'erculeo granatiere,"a che ora precisa arriva la nave?".
"Mi pare alle venti e trentacinque", fece Gedeone;"del resto, vediamo subito".
Chiamò:
"Arocle!".
Arocle, che entrava in quel momento, avrebbe voluto esser sotterra dalla vergogna, sentendosi chiamare a nome. Si mise a fischiettare con indifferenza.
"Imbecille!", gli gridò l'erculeo granatiere.
"Comandi".
"II giornale di oggi", ordinò Gedeone.
"L'unica cosa fresca che ci sia in pensione", osservò con amarezza l'erculeo granatiere.
Ma Gedeone aveva appena aperto la gazzetta, che un grido gli sfuggì dal petto.
"Che c'e?", chiesero tutti, allarmati.
"C'è", disse Malpieri, tormentando il foglio,"c'è che questo giornale è vecchio".
"Domando scusa, signore", disse Arocle con dignità," è del 27 agosto 1930 e oggi siamo appunto al 27 agosto 1930".
Gedeone riprese in esame l'effemeride, guardò la data, sbirciò il testo, poi di nuovo esaminò la data e mormorò:
"Io non ci capisco nulla".
Il giornale passò di mano in mano.
"Curioso", disse il giovine del braccio destro,"le notizie sono vecchissime, ma la data è di oggi".
L'erculeo granatiere confrontava data e testo con l'aria di non capirci piú nulla. Alla fine sbuffò, sagrando.
"Ma che fai?", gridò ad Arocle,"ci porti il giornale del 27 agosto 1930 avanti Cristo!".
Scagliò l'effemeride in faccia al cameriere, che, mortificatissimo, balbettò:
"Scusi tanto, ho letto 27 agosto 1930 e non ho pensato...".
"Ma non hai visto che c'era «avanti Cristo» dopo la data? Razza d'animale!".


Da: "Agosto, moglie mia non ti conosco"
1930 - Fratelli Treves Editori

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